Lo scorso 30 novembre la Marriott International aveva pubblicato,
all’interno del proprio sito web, un comunicato che rendeva pubblica una violazione di dati nella rete di prenotazione degli ospiti subita nel 2014 dalla propria filiale Starwood.
Tra le informazioni rubate e rimaste disponibili per 4 anni al gruppo di hacker c’erano nomi, date di nascita, indirizzi, numeri di telefono, indirizzi e-mail e numeri di passaporto. Sul numero totale di dati rubati, almeno 327 milioni riguardavano anche i numeri delle carte di credito e delle loro scadenze.
Secondo la Reuters gli hacker hanno lasciato diversi indizi che fanno capire il modo in cui stavano operando per la raccolta di quante più informazioni possibili sui clienti che avrebbero soggiornato in una delle 1200 strutture Starwood.
Ecco perchè, dopo uno studio più approfondito sulla vicenda,un gruppo di esperti di sicurezza informatica sostiene che l’intento degli hacker non era quello di avere un ritorno economico, bensì quello di reperire più informazioni possibili degli ospiti delle strutture alberghiere sparse nel mondo.
“La Cina si oppone a tutte le forme di attacco informatico” ha detto alla Reuters il portavoce del ministro degli Esteri cinese Geng Shuang, “Se ci verrà fornita la documentazione relativa il furto di dati, i servizi cinesi competenti svolgeranno indagini”.
“Non abbiamo nulla da condividere” è stato il laconico commento della portavoce Marriott Connie Kim.
Se chi sta investigando confermerà che dietro questo attacco informatico c’è il governo cinese, le relazioni fra Washington e Pechino potrebbero incrinarsi ulteriormente.